ARCHITECTURE OTHERWHERE
LE SFIDE DELL’ARCHITETTURA IN AREE DI POST DISASTRI
Sapienza Università di Roma - Facoltà di Architettura
Dottorato di Ricerca in Architettura - Teorie e Progetto
Novembre 2015 (lecture Cameron Sinclair)- Gennaio/Febbraio 2016- Sei incontri
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Il Seminario si svolge nell’ambito delle attività di ricerca del laboratorio dipartimentale LACA e parte dalla esperienza della partecipazione al XXV International Union of Architects World Congress Architecture Otherwhere svoltosi a Durban 3-7 agosto 2014, con uno Stand espositivo (a cui hanno collaborato gli architetti M.T.Cutrì, M.L.Micalella, R.Lucente) ed una Round Table sul tema «Disasters otherwhere. Outcomers/Newcomers. Temporary shelters or permanent asylum could become an otherwhere ghetto?» in cui è stato riscontrato un grande interesse condiviso a livello internazionale sulla necessità di riflettere sulle modalità possibili con cui l’architettura può rispondere a situazioni provocate da disastri di vario genere o anche in taluni casi forse limitarne gli accadimenti.
Come l’architettura si pone rispetto ad una serie di quelle che ormai in ambito dell’architettura e del design vengono definite «innovazioni sociali locali» (positive e negative). Progetti di vita che si configurano, in accelerazione e in ambiti informali, per effetto di disastri politici, sociali, naturali e vedono protagonisti in co-progettazione architetti e forze che agiscono sulla città e l’architettura: comunità, imprese, associazioni… sempre più frammentando le istituzioni attraverso la messa in atto di nuove strategie urbane (e di vita) attraverso una diversa interpretazione del rapporto uomo/territorio/città.
Analizzando esempi di progetti realizzati, si scopre (secondo modalità diverse attraversando i continenti) un immenso laboratorio di sperimentazione e ricerca in cui si producono forme sociali, soluzioni architettoniche e urbane e significati inediti che erodono spazi e modi del consumo e dell’organizzazione urbana e territoriale tradizionale. Un diverso ordine emergente.
La lecture di Cameron Sinclair: Housing the next Billion ha aperto il seminario. Nuove sfide si aprono per l’architettura a partire da tutte quelle situazioni emergenti nelle più diverse realtà urbane consolidate e/o in formazione.
Cameron Sinclair (architetto londinese, fondatore di Architecture for Humanity) oggi pluripremiato per il suo lavoro nel mondo, come Samuel Mockbee e tutti quelli che portano l’architettura nelle aree più derelitte e disagiate e ne studiano (da architetti) la drammatica realtà politica e sociale, all’inizio vengono guardati con sospetto. Perché, nella monumentalizzazione e strumentalizzazione dei linguaggi dell’architettura, dal moderno al contemporaneo in particolare si dimentica l’impermanenza dei sistemi, l’essenza liberatoria dell’architettura, la sua forza immaginativa, l’adattamento come capacità di vivere con il sistema di riferimento e la capacità di trasformare e creare profondità dove sembra non esserci (più) nulla indietro, se non storie irrimediabilmente perdute a causa di disastri naturali e/o provocati dall’uomo, conflitti (dalle guerre asimmetriche, alla guerriglia, al terrorismo), violenze e discriminazioni.
Non lo hanno certo dimenticato Cameron Sinclair, come Toyo Ito (Home for All dopo il disastro delle Filippine) e Shigeru Ban (premiato con il Pritzker nel 2014 per il suo lavoro nella “temporaneità”) insieme ad altri,Tyin Tegnestue, Nlè Architects, Urban ThinkTank, Teddy Cruz, (un elenco destinato ad allungarsi) tra cui Alejandro Aravena (direttore della prossima Biennale di Architettura di Venezia: Notizie dal Fronte (Reporting from the front, 28 maggio-27 novembre 2016, Giardini dell’Arsenale, ovvero notizie da tutti quei luoghi in cui l’architettura fa veramente la differenza nella vita delle persone).
Levi-Strauss ha chiarito (1952) come la sistemazione dello spazio esistenziale dell’uomo è una componente inalienabile della sua condizione antropologica, come lo è la sua appartenenza al mondo della natura. Questi due principi, enunciati in ambito etnologico con l’intento di definire il significato e il ruolo simbolico dello spazio edificato nell’esperienza umana, sono pure i fondamenti logici che spiegano il rapporto di reciprocità che si determina tra l’uomo, con il proprio spazio esistenziale, artificialmente definito, e gli eventi disastrosi di origine naturale (natural disasters), il cui impatto sulle popolazioni umane infatti aumenta in proporzione al crescere degli insediamenti. Per altro verso, l’ampliamento e alcune caratteristiche degli insediamenti antropici intervengono spesso come concause di eventi disastrosi (man made disasters), alterando gli equilibri naturali e amplificando gli effetti di tali eventi, quando non li determinano. Il confine tra disastri ambientali di origine naturale e di origine umana è quindi molto labile, dato il loro stretto concatenamento con i sistemi insediativi. In assenza di fattori scatenanti legati all’ambiente naturale, ogni altra tipologia di disastro trova comunque un’ imprescindibile correlazione con i sistemi insediativi, impattando su di essi o avendo origine da essi.
I disastri generati da eventi di natura politica (political disasters) traggono spesso alimento e ispirazione, nelle diverse tipologie di guerra, guerriglia, ecc., dalle stesse forme degli insediamenti abitativi oggetto o focolaio dell’attacco. Gli stessi confini politici, convenzioni artificialmente imposte alla natura geografica dei luoghi, sono spesso la causa prima e ultima dei disastri che abbiamo definito politici. E impattano sulla dimensione insediativa imponendo forme di abitazione coatta, come i campi profughi o rifugiati. Altri disastri originati da fenomeni di marginalizzazione (social disasters) si definiscono anch’essi in relazione alle condizioni abitative: sia nel caso di assenza di casa (homeless) che di alloggiamenti precari (baraccopoli).
L’obiettivo di una lettura discretizzata e in parallelo, consiste nell’ opportunità di cogliere così le sovrapposizioni e le invarianti che accomunano gli eventi disastrosi, qualunque siano le loro cause scatenanti. La centralità della condizione insediativa è una di queste invarianti, in tutte le sfumature di senso implicate: di affermazione, perdita, attesa, assenza, negazione, problematicità di una determinata modalità abitativa, vissuta o anelata. L’omologazione prodotta dagli eventi disastrosi è un’altra di queste invarianti, restituita dall’insieme delle immagini tratte da tutti gli angoli del pianeta vittime di disastri: omologazione di paesaggi e volti, a prescindere dalle specificità geografiche e culturali dei luoghi e delle persone ritratti nel post-disastro. L’attesa di un riconoscimento della propria condizione, sottintende un “affidamento” alla specializzazione dei tecnici. In tutti i casi si verifica la centralità della visione dell’architetto, in quanto tecnico-artista nel senso della technè greca.
Il Seminario intende indagare attraverso un’elaborazione teorica ed una meta-progettuale, un approccio che interpreti questi aspetti appena citati, focalizzando l’attenzione su Roma nello specifico di alcune aree.
Il Seminario potrà avere come output la pubblicazione dei testi e progetti nella pubblicazione Disasters otherwhere edita a cura della Unione Internazionale Architetti (UIA) di Parigi (testi in inglese) e la eventuale partecipazione alla Biennale di Architettura di Venezia 2016 diretta da Alejandro Aravena nello spazio dedicato all’UIA.